lunedì 30 maggio 2016
Noi e lo stress
Quando incontro qualcuno, anche casualmente, chiedo sempre: come stai? La risposta è uguale, sempre. " Sto stressata/o". Ora la domanda sorge spontanea, perché ?
Lo stress è un cambiamento di equilibrio nel normale quotidiano. Crea stress una malattia, un lutto, una separazione, un cambiamento di partner , un licenziamento, un cambiamento di lavoro, un trasloco. Possibile mai che nelle vite di tutti cambiano queste cose in continuazione? O forse usano il termine sbagliato? Forse, un po' tutti , ci sopravvalutiamo, riempiamo le nostre vite come una dispensa prima della guerra. Temiamo la solitudine e il silenzio e per questo colmiamo anche il più insignificante dei tempi morti. Facciamo cose anche mentre mangiamo o siamo in bagno. Iscriviamo i nostri figli e noi stessi a mille corsi. Vogliamo andare in palestra, al corso di teatro, a fare shopping, a trovare gli amici. Vogliamo giocare a burraco o forse a scacchi, gestire pagine Facebook, saper cucinare meglio di Cracco, avere una casa così perfetta da sembrare disabitata. Vogliamo avere più vita. Più ore. Poi, non le sappiamo gestire
domenica 29 maggio 2016
L'invadenza dei favori: un meccanismo perverso

Non mi piacciono i favori e tanto meno chi li chiede di continuo. Considero il favore un'invadenza, una sottrazione di spazio e tempo, un cambio di programmi non scelto. La scelta è la nostra salvezza. Dovessimo scegliere di farci del male, di sbagliare con cognizione di causa non soffriremmo un solo istante. Soffriamo, invece, ogni volta che qualcuno decide per noi e si intrufola nella nostra vita.
Quando ci chiedono un favore possiamo anche dire di no. Immaginavo ci fosse questa possibilità, ma non fa per me. Non che non ne sia capace. Se mi impegno posso diventare la regina delle scuse plausibili, ma non mi va di passare dalla parte del torto, la parte di chi "non ti ha aiutato, non ti ha voluto fare un favore". Mi dispiace ma non ci sto. Se mi costringi a dire di no mi metti in una posizione scomoda, in bilico tra impotenza e senso di colpa, in cui non voglio stare. Certo che non tutti i favori sono uguali. Esistono le emergenze su cui neanche si discute. Se devi correre in ospedale o da tua madre che sta male puoi chiamarmi anche alle tre di notte, se ti si ferma la macchina però chiami il carro attrezzi perchè sei grande e puoi farcela. Per chiedere un favore ci vuole intimità e tanta confidenza. Gli abitudinari del favore vedono intimità dove non c'è, convinti di una sola cosa. Tanto che le cambia? Quelli che chiedono con disinvoltura, oltre che molto infantili, sono parassiti e dipendenti. C'è gente che sul favore imposta la sua vita: mi prendi i bambini a scuola?, Mi porti il bimbo a calcetto? Se vai a comprare le penne blu, ne prendi tre anche per mio figlio? Mi scrivi quella relazione? Mi paghi questa bolletta? Mi prenderesti il latte?
Arriva l'orticaria solo a pensarci. Quelli che chiedono favori sempre e a tutti, vogliono farvi credere di avere una vita che neanche tre capi di stato insieme. Gli altri, secondo loro, passano le giornate a contare le nuvole. Essere considerata a disposizione è un ruolo che mi sta stretto. Essere disponibile mi piace molto. Non mi piace invece chiedere favori e non mi piace riceverne. Ci vedo una forma di controllo, di intrusione. Faccio da me e se ho bisogno chiedo ma a chi dico io. Per chiedere devo sapere che: non mi verrà rinfacciato e che la mia richiesta non verrà usata per farne altre dodici. Chiedere implica l'apertura di un cancello che nella mia vita è aperto a pochi. Preferirei non passare il resto dei miei giorni e del mio tempo ripagando i favori ricevuti. I favori non sono gratis, neanche l'amore lo è.
Fatto strano poi è l'incapacità di comprendere che chiedere favori significa mettersi in una condizione di debito e dare all'altro un potere che non ha chiesto e che non sempre sa gestire.
E' naturale che parlo di eccessi, l'una tantum mi fa piacere e, a proposito di potere, mi lusinga.
Il favore non si chiede. Chi è disponibile si offre. Lasciate che aiutarvi sia una scelta, non un'imposizione. Posso andare a prendere dieci bambini al campo di calcio... se decido io.
giovedì 26 maggio 2016
mercoledì 25 maggio 2016
Facebook, davvero un libro aperto

Il
pudore e la vergogna, il vorrei-ma-non-posso ma anche la sfacciataggine più
esasperata. Ci sono gli esibizionisti ed i voyeur, i timidi e i faccia tosta.
Ci sono i vegani e i cannibali. Gli ammogliati felici e gli ammogliati
ma-che-palle.
Ognuno
da questa sorta di diario porta avanti la sua battaglia. E si perché la prima
cosa che salta agli occhi sono le fisse individuali: io sono quella del “Basta
compiti a casa” ma ci sono i religiosi, i letterati, gli amanti della cucina e
quelli sempre a dieta che propongono ricette e i prodotti più in voga, ci sono
quelli con la fissa delle tette grosse o dei piedi con lo smalto rosso. Ci sono
i musicisti che, disperatamente, propagandano il loro sound preferito o
l’artista del cuore. Ci sono gli sportivi e ancora di più i tifosi. Quelli che
“Vesuvio lavali col fuoco” e quelli che “lo sport non è questo”. C’è chi fa
propaganda politica e chi propaganda personale. Chi tenta di vendere qualsiasi
tipo di oggetto o prodotto e chi, cerca di vendere se stesso: il suo talento,
le sue idee. Ci sono quelli che pubblicano post in continuazione e quelli che come
i topi di fogna, leggono e sanno tutto
di tutti ma restano muti e nascosti. Ci sono i docili, quelli che parlano solo
di benessere e felicità e gli aggressivi i così detti “leoni da tastiera”
quelli che dietro un pc riescono a scaricare tutte le frustrazioni possibili
aggredendo chiunque, pure a casaccio, pur di affermare se stessi e le proprie
opinioni.
E
poi c’è la parte che amo di più: l’amore. Facebook nasce come esercizio di
nostalgia. Cercare i vecchi compagni di scuola significa cercare i vecchi, i
primi amori. Significa ritrovarsi, cambiati ma uguali. Mi piace e mi viene pure
facile tentare di capire da foto e mezze frasi pubblicate chi sta con chi, a
chi piace chi. Non è difficile: l’amore si vede sempre. Basta un like che non
ti aspetti magari fra persone che se si incontrano fingono di non conoscersi. “Stranamente”
sono spesso un uomo ed una donna. Te ne accorgi quando pubblicano canzoni
d’amore struggenti contornate da cuori rossi: per un marito o una moglie, in
genere, non si fa. Non così spesso. Mi piace quando a scrivere d’amore sono gli
uomini. A voce non sono così capaci. Leggo spesso post di dichiarazioni d’amore
bellissime che scritte così, su facebook, rese pubbliche a tutti gli amici, i
parenti ed il condominio, valgono più di dieci diamanti.
Mi
piace osservare le foto che cambiano magari a seconda dei vari momenti della
vita. Foto che sottolineano un matrimonio, una festa, un dolore, una
promozione, uno stato d’animo, un idea o l’appartenenza ad un gruppo.
Mi
piacciono le foto di chi ci mette la faccia: bella o brutta non importa. Mi
piacciono molto le foto spontanee ma devo essere onesta, quelle posate mi
divertono di più: quelle tipo lei stesa sul divano o che guarda l’infinito e
lui , viso spavaldo appoggiato sulla manina che sorregge il mento. Le foto con
la mano sotto il mento ( moscia deve essere moscia) sono le mie preferite.
Mi
piace osservare gli sguardi: seri e seriosi o persi in una risata. Mi piace immaginare chi
c’è dietro quello sguardo . Mi piace tentare di capire se ridono davvero o se,
come accade più spesso, quelli che ridono di più sono in realtà i più tristi.
giovedì 19 maggio 2016
Donne, selfie e vanità
Sono
mesi, forse anni, che mi interrogo sui selfie.
Sono
antica. Ancora ferma all’idea della macchinetta fotografica che porti con te
quando hai qualcosa di particolarmente bello da fotografare: quando vai in
vacanza, ad esempio, o se c’è un compleanno. Un modo, il più semplice ed
immediato, per bloccare i ricordi in un immagine. Per questo mi risultava davvero
difficile comprendere le motivazioni che spingevano e spingono tante donne (soprattutto) ad autofotografarsi e a rendere pubblici e condividere questi
scatti che, tutto al più, dovrebbero rimanere privatissimi..
L’
ho considerata per molto tempo una cosa parecchio ridicola e molto infantile.
Ho
cercato di darmi spiegazioni e motivazioni, mentre, intanto, quella del selfie, diveniva una abitudine molto condivisa se non una vera e propria mania. Ho
scomodato la psicologia e gli studi sul narcisismo e l’autostima senza mai
trovare una risposta che fosse esauriente e soddisfacente per tutti i miei
dubbi.
Alla fine, come spesso accade, arriva
inaspettatamente la folgorazione. La risposta è la più semplice in assoluto,
senza bisogno di scomodare grandi menti: VANITA’.
Vanità
e bisogno di piacere. Di essere approvati. I social in questo aiutano ed
alimentano.
La
vanità non è un peccato è un bisogno. Come mangiare e bere. Il bisogno di
essere riconosciuti. Lo abbiamo tutti anche quelli che non si fanno autoscatti.
Ognuno, a suo modo e con i mezzi che ha a disposizione, cerca di saziare il
suo bisogno di approvazione. E non è un fatto fisico. Molte foto non ritraggono
donne bellissime, ma donne che si piacciono e vogliono che questo piacere sia
condiviso.
Il
mondo non è cambiato per via della tecnologia, dei social e dei selfie. E’
cambiato il livello di consapevolezza della gente. Ed è cambiato il senso della
vergogna e del pudore. Anni fa molte persone, molte donne, avrebbero avuto
difficoltà ad ammettere il fatto che
amano piacere. Oggi la chirurgia estetica e i selfie stessi ci dicono
che si tratta di un problema che non ha più nessuno. E fanno bene. Non c’è
nulla di male a voler piacere, a voler essere ammirati. Non è cosa infantile è
cosa umana. E la vanità non è un peccato ma un modo di vivere il piacere. E’
una presa di coscienza. Ma anche un atto di umiltà. Un’ammissione.
venerdì 13 maggio 2016
L'esperienza negativa non insegna ....
Non mi piace essere presa in giro, neanche dalla psicologia. È vero che dall'esperienza si impara, si aggiusta il tiro, si riconoscono i propri limiti. È vero anche che l'esperienza crea l'abitudine e l'abitudine libera dall'ansia . Non è vero però che le esperienze negative fortificano. Non è vero che migliorano. E non parlo dell'esperienza negativa del traffico o della fila alla posta o del brutto voto a scuola. Le vere esperienze negative sono quelle che tendono ad annullare autostima ed amor proprio, fiducia negli altri e nella vita. Sono le ingiustizie, i calci nel sedere, i tradimenti , le crudeltà del fato come i tumori, le malattie, i terremoti. Sono quelle esperienze che creano vinti e vincitori, carnefici e vittime. Sono pugni nel cuore a volte inutili. Non sono esperienze che possono insegnare. Anzi. Induriscono quanto più sono dure, fino a renderci asociali e crudeli. Chiudono, per paura o disillusione, fino a renderci esseri soli. Fino a renderci egoisti e cattivi. E sono molto più frequenti di quanto si immagini, frequenti e vicine. Rischiamo un effetto dinamo senza fine: aumentano le cattiverie subite, aumentano i cattivi.
giovedì 12 maggio 2016
Adesso è l’uomo che sogna il matrimonio
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Sempre più maschi vogliono
andare all’altare per paura di una dura vita da single. Lo annuncia uno
studio Usa del Centers for Disease
E proprio vero: non ci sono più
gli uomini di una volta, quelli che di fronte alla prospettiva dell’altare
scappavano a gambe levate. Secondo uno studio Usa, infatti, ora è l'uomo a
desiderare fiori d'arancio, confetti e riso, perché una vita da single
proprio non la vuole fare. Il Centers for Disease Control and Prevention ha
investigato un campione di 12 mila uomini e donne tra i 15 e i 44
anni, ponendo domande sulla vita sessuale, sulla
convivenza, il matrimonio
e il divorzio.
Dalla ricerca è emerso che il sesso forte, quando è
lasciato solo, si sente proprio debole. Il 55 per cento degli uomini vuole
un bimbo, contro il 46 per cento delle donne. Il 66 per cento dei maschi
pensa che sia meglio essere coniugato che celibe confronto al 51 per cento
delle signore. Michael Kimmel, sociologo alla State University di New York,
annuncia che si sta definendo un modello maschile molto positivo, sganciata
dalla cultura maschilista, tanto che il 76 per cento degli uomini antepone la
famiglia alla carriera e vorrebbe trascorrere più tempo con moglie e figli.
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mercoledì 11 maggio 2016
Segreti del cambio di stagione.....

È tra i compiti più pesanti. Spetta alle donne, alle mogli, alle mamme ed è ogni anno un incubo che, a volerlo fare per bene, impegna anche per una settimana. Una settimana di caos, lavatrici, scatoloni e maglioni stesi ovunque che, malgrado tutte le precauzioni del caso, un po' si deformano comunque. Sacchi di cappotti da mandare in tintoria e piumoni che seppure riesci a far entrare in lavatrice dopo non sai come stendere. Finisce che anche i piumini vanno in tintoria con una spesa finale che a saperlo prima ti rifacevi l'intera camera da letto! Poi ci sono le scarpe. Tiri fuori i sandaletti e al loro posto dovresti far entrare stivali e calosce: un'impresa tecnico- geometrica che neanche Renzo Piano...
Alla fine di questa impresa apocalittica che, detto chiaramente , è un vero e proprio trasloco, dovresti essere felice e soddisfatta, invece già a metà dell'opera ti assale una strana malinconia, un senso di tristezza mista a frustrazione che non sai cos'è . Il cambio di stagione è segno del tempo che passa, dei figli che crescono, dei desideri non realizzati, delle aspettative deluse. È specchio di ricordi che non vuoi ricordare eppure ce n'è uno per ogni vestito.
Non proviamo fatica quando facciamo il cambio di stagione ma dolore. Per i desideri espressi esattamente un anno fa mentre riposavamo proprio queste cose: il prossimo anno questo vestito mi entrerà e sarò bellissima. Il prossimo anno farò delle vacanze pazzesche con tutti questi vestiti, spero che il prossimo anno ci sarà l'uomo giusto per me, quello che saprà apprezzarmi. E invece niente, un anno è passato e sei di nuovo lì a spostare vestiti che non andranno in vacanza e che nessun uomo apprezzerà . Perché spesso è così soprattutto per noi donne: le uniche promesse che non riusciamo a mantenere sono quelle che facciamo a noi stesse.
martedì 10 maggio 2016
5 INDIZI PER RICONOSCERE LA PERSONA GIUSTA...
E’ la persona giusta per te se…
1) da quando frequenti questa persone sono aumentati il tuo entusiasmo e la tua energia vitale;
2) il lavoro che spesso ti annoiava ti risulta leggero e semplice da svolgere;
3) Ti prendi più spesso , e con maggior piacere cura, di te;
4) La maggior parte dei tuoi amici ti trova più dolce, più tollerante, più simpatico,
5) Il solo pensiero della persona amata ti riempie di gioia ed energia.
Null’altro. E’ semplicemente così l’amore. Rende tutto più semplice e migliore.
LE 5 REGOLE DELL’AMORE
1) Liberi insieme è il primo segreto dell’amore. Il riconoscimento dell’individualità e della personalità dell’altro sono l’espressione più alta dell’amore.
2) La gelosia è una pratica pericolosa: alimenta il desiderio di trasgredire. Troppo spesso , infatti, confondiamo le nostre paure con i nostri desideri più intimi e profondi.
3)L’amore non ha bisogno di tempo. Il tempo per conoscersi, il tempo per capire, il tempo per legarsi. L’amore quello vero nasce in un attimo e spesso dura un brivido.
4) Il più grande nemico dell’amore è il pensiero di averlo conquistato. L’amore non è mai per sempre. E non è mai troppo.
5) L’amore non è un sentimento è un’ azione. L’amore , quello vero, è fatto di scambi, gesti e azioni fatte per il beneficio dell’altro. Chi ama solo a parole non ama mai veramente.
Che ci sbattiamo a fare...


Erano gli anni dell'adolescenza, agli uomini ci credevo e l'amore era per sempre, se era amore.
Poi peró diventi mamma e capisci che è vero il contrario: i figli vanno e almeno speri che, i mariti restino.
Poi si separano le prime amiche e capisci che vanno sia i mariti che i figli, solo gli amici restano, quelli veri.
Ho sempre pensato così. Poi ho smesso. Di colpo. La verità è che vanno tutti. Resti tu, solo.
Però all'amicizia ci credevo. Prima, ci ho creduto fortemente. Oggi non ci credo più. Senza fatica.
Succede che ti svegli una mattina e tutto cambia. Basta un telefonino. Un caso, un errore o uno scherzo del destino. E tutto cambia.
La verità è che usiamo sempre parole sbagliate, troppe e troppo grandi. Finisce che siamo amici solo a parole, che amiamo solo a parole. Perché diciamo ti amo, ti amo da impazzire, ti amo da morire, e crediamo che basti. Ma non basta, non serve. A niente.
Un po' le invidio quelle che restano amiche: amiche degli ex , amiche delle amiche che le hanno tradite con gli ex. Le invidio ma non le capisco. Non so dire bene se è superficialità, bontà o masochismo. Bisogna essere davvero un po' masochisti per continuare a salutare (anche solo salutare) il tuo ex che esce con la tua (ex) migliore amica. ma forse l'amore quello vero è per i masochisti..
Perché infondo l'amore è cattivo, vive di assenze, si nutre di disamore, cresce con le distanze. Nessuno ama i genitori più degli orfani.
I compiti a casa...
Tratto da: " Ti ricordi il Marymount?"
Non me lo aspettavo, lo ammetto è stato come un colpo basso, un tradimento. Ho capito che alle elementari ci sarebbero stati i compiti a casa quando ormai eravamo al Kindergarten. Dopo tre anni spostarsi mi sembrava stupido eppure ai compiti ho fatto fatica a cedere. La mia convinzione partiva dall’esperienza personale. Per me chi frequenta una scuola privata fa i compiti a scuola. La scuola privata a differenza di quella pubblica cerca di andare più incontro alle esigenze dei genitori che lavorano. Anche io ho fatto le elementari in una scuola privata. All’epoca funzionava così: o uscivi da scuola alle 13,00, andavi a pranzo a casa e quindi facevi i compiti nel pomeriggio a casa o restavi a mangiare a scuola e dopo pranzo facevi i compiti. Chi usciva alle quattro aveva i compiti fatti e neanche portava lo zaino a casa. Ho dato per scontato che fosse così. Tornassi indietro chiederei prima. Mi informerei meglio. Comunque sia ormai è fatta . Ma è stata una tragedia. Come quando ti rompi un piede il primo giorno di vacanza o ti tiri la porta di casa proprio nell’attimo in cui ti salta in mente che le chiavi sono dentro. Un giorno parlando con il Preside gli ho detto che ho scelto di non fare il terzo figlio proprio in seguito alla scoperta “compiti a casa”. Ha riso, ma io non scherzavo. Il punto è che si tratta di una pratica necessaria per la scuola, assolutamente ingiusta per me. Su questo non andremo mai d’accordo. Un adulto lavora otto ore al giorno, proprio non riesco a capire perché ad un bambino bisogna chiedere di più. Non ho il coraggio di imporre ad i miei figli di sedersi a fare i compiti, dopo otto ore chiusi in classe, non ne ho il coraggio e credo che non sia giusto. Per loro, ma neanche per noi. Impensabile e difficile accettare il fatto che sia la scuola a dover decidere se e quando posso andare a fare una passeggiata in centro con i miei figli. Se posso andare dal dentista o a trovare i nonni. Spesso i compiti sono assegnati con qualche giorno di anticipo, spesso ma non sempre. Più frequentemente si va da un giorno all’altro e non sai mai, prima di aver controllato il diario, cosa ti capita. A tutto ciò bisogna tener conto degli impegni extrascolastici. Primo fra tutti il nuoto. I pediatri lo chiedono espressamente: non è solo uno sport, è come una medicina. Il nuoto è obbligatorio. Andare a fare nuoto due volte la settimana significa tornare a casa alle sette, e fare i compiti. Sfido un adulto! Comunque sia il nuoto non è quasi mai una scelta del bambino ma una imposizione del medico e di riflesso della madre. A questo punto mancano le attività pomeridiane ludiche scelte dal bambino in base alle sue passioni: in linea di massima tra i sei e gli otto anni si tratta di danza per le femminucce e calcetto o tennis o basket per i maschietti. Anche lì tra sport e doccia ci finisce alle sette. Dalla terza elementare poi si aggiunge un altro impegno pomeridiano imprescindibile: il catechismo. Anche qui non è una scelta, se sei cattolico lo devi fare. Ai miei tempi si faceva il catechismo la domenica mattina per un’ora, dopo la messa. Oggi questa cosa è cambiata, almeno qui a Roma: quasi in tutte le parrocchie, si fa catechismo il mercoledì pomeriggio dalle 17,00 alle 19,00. Poi la domenica mattina a Messa. Va da se che in terza elementare, di mercoledì, i bambini stanno chiusi in un’aula a studiare dalle 8,20 del mattino alle 19,00 di sera. Poi arrivati a casa invece di giocare, guardare un cartone animato o fare un bagno caldo, devono fare i compiti. Come si chiama questa cosa? Ingiustizia, così si chiama o sopruso. Fate voi.
La prima elementare di Ginevra é stata un incubo, per i compiti. Tanti e tutti i giorni. Una paginetta, dicevano le maestre...una di inglese, una di matematica, una d’ italiano. Poi sono arrivati lo spelling ed il flauto con i brani da imparare a memoria. Troppo. Ad ogni lamentela mi veniva risposto che i bambini devono fare da soli. Ora se mia figlia a sei anni mi avesse detto, tornando da scuola alle cinque del pomeriggio, mamma non vedo l’ora di fare i compiti, avrei temuto di aver commesso qualche errore. In realtà a quell’età , come è normale che sia, la voglia di fare qualcosa di diverso dal gioco, non è minimamente contemplata. Tocca a noi mamme insistere, pregare, negoziare fino allo sfinimento. “Mamma sei cattiva!” me lo hanno detto tutti e due in risposta alla mia richiesta di mettersi a fare i compiti. Non è giusto. Soprattutto perché poi ad un certo punto del tardo pomeriggio in quasi tutte le case squilla il telefono ed è papà che dopo aver chiesto “cosa si mangia stasera?” chiede di salutare i bambini. “Finite i compiti che poi arriva papà e giochiamo”. Non è giusto, noi cattive e loro fighissimi compagni di gioco. Non è giusto. E ho le prove!
Sentite cosa dice lo psichiatra Paolo Crepet a proposito dei compiti a casa:
" Nessun operaio della Fiat si porta a casa un tergicristallo da finire: perché un ragazzo deve continuare da solo o con dilettanti (questi siamo noi genitori...ndr) un lavoro non finito a scuola?"
"Se il tempo con i figli è occupato dai compiti verrà sottratto all'attenzione/partecipazione e ad altri aspetti ugualmente importanti per la loro crescita: il gioco, il dialogo, la narrazione, le confidenze, lo star vicini ad ascoltarsi. Il tempo libero da trascorrere con i figli è un diritto.”
Mentre scrivo queste pagine Floriana mi “gira” questa notizia.
Manhattan, scuola elementare abolisce compiti: fanno male. "Leggete e passate tempo con famiglia", dice la Preside.
Secondo la Preside Jane Hus “fanno più male che bene. Basta compiti per casa, senza, gli studenti sono incoraggiati a leggere libri e trascorrere tempo con la propria famiglia. Gli effetti negativi dei compiti a casa sono stati ben consolidati da studi, causano frustrazione, stanchezza, mancanza di tempo per altre attività, tempo per la famiglia e, purtroppo per molti, la perdita di interesse per l'apprendimento."
Ecco ho ragione io, fanno male... e la Preside in questione, ovviamente, è una donna...
Non è troppo presto
E’ quello che pensa
la maggior parte dei genitori quando si tratta di rispondere alle
domande, anche ingenue, poste dai
bambini su temi che, anche alla larga, riportano alla parola sesso.
Strano per una
generazione di diplomati e laureati, di uomini e donne emancipati, liberi da
sovrastrutture peccaminose e preconcetti. Strano non sentirsi in grado, non
riuscire a trovare le parole, non sapere come trattare l’argomento. Strano, ma
non più di tanto, se si pensa che la generazione acculturata di cui sopra vive
da anni anteponendo l’ansia all’azione.
Abbiamo paura di fare e non facciamo. Dovessi descrivere l’era storica che
attraversiamo, direi, senza ombra di dubbio, che è l’era dell’ansia. Con i
bambini poi l’ansia dell’adulto raggiunge il culmine.
Molti hanno
paura. Non riescono, non spiegano, non parlano perché hanno paura. E’ così che,
per paura, il problema viene evitato, rimandato, delegato ad un domani migliore
con tre semplici parole: è troppo presto. Perché i figli sono sempre piccoli.
Perché per molti parlare, insegnare, educare a volte significa mettere in testa
ai bambini pensieri che non hanno.
In realtà non è mai troppo presto se i bambini
chiedono. Non è troppo presto se la realtà che li circonda impone che abbiano
determinate consapevolezze. Se la società in cui vivono impone loro, già in
tenera età, la necessità di avere informazioni di base utili fin da subito a
saper discernere il bene dal male, quello che si fa e quello che non si fa. Ma
gli adulti evitano di parlarne convinti
che non parlare di certi argomenti li difenda dagli argomenti stessi.
Ma la paura non basta. Non basta aver paura che mio
figlio cada per evitargli quelle tre o quattrocento cadute tipiche dell’
infanzia. E non è neanche lontanamente immaginabile vietargli di correre o
camminare per evitare che cada. C’è un unico modo per risolvere il problema:
evitare di evitare. Ed insegnare ai bambini a cadere.
Basta spiegare che le cadute fanno parte della corsa o
della camminata. Basta dire che nella vita, e in tutti i sensi, qualche volta
si inciampa. Basta dire che siamo caduti anche noi, e ne abbiamo riso. Quanto
abbiamo riso dello nostre cadute?
Del sesso però non riusciamo a ridere e per questo non
sappiamo parlarne, lo temiamo, ci fa paura.
Parlare di sesso non significa parlare di rapporti
sessuali e penetrazione a bambini di tre o quattro anni. Parlare di sesso
significa aiutarli a comprendere le
differenze e le complementareità tra maschi e femmine, significa aiutarli a
costruire la propria identità sessuale ed il proprio ruolo sessuale in quanto
bambini e bambine. Parlare di sesso significa insegnare loro il pudore e non la
vergogna, il rispetto delle diversità e non la paura. Parlare di sesso
significa aiutarli a non considerare il sesso un tabù ma, come è giusto che
sia, un‘ espressione naturale di amore e piacere. Sembra semplice, eppure non
lo è.
Non è semplice perché la parola sesso mette in
discussione noi per primi. Non è semplice perché , evidentemente, su quel
versante non siamo in pace con noi stessi.
Alcuni genitori sono troppo poco sessualizzati e altri
fin troppo sessualizzati, entrambi i
casi rappresentano modelli inadeguati.
In molte coppie la sacralità della famiglia si basa
solo ed esclusivamente sull’assenza di desiderio e quindi di sessualità. I
genitori non sessualizzati sono quelli, per intenderci, che hanno appeso al
chiodo la genitalità, quelli che a volte non capisci se sono uomini o donne,
maschi o femmine. Quelli che iniziano a trascurarsi dopo la luna di miele,
perché tanto si sono accasati e terminano il capolavoro quando restano incinti.
Perché si, loro si amano così tanto che restano incinti in due. Sono quelli che
mamma non si trucca perché è acqua e sapone e senza grilli per la testa e papà
c’ha la panza perché è un uomo di sostanza.
Sono quelli che lo vedi da lontano che non fanno sesso
da sempre perché se sei sveglio gli si legge in faccia. Non sono bigotti, non
sono necessariamente ipereligiosi per cui si fa l’amore solo per procreare,
sono apatici e disinteressati. Sono quelli per cui la coppia è una tappa e la
famiglia è la tappa che viene dopo. Sono quelli lamentosi, quelli per cui in Italia
non funziona nulla, quelli che fa sempre troppo freddo o troppo caldo e non c’è
più la mezza stagione, quelli per cui la vita è sacrificio e siamo nati per
soffrire. Quelli per cui mainagioia non è una battuta ma un modus vivendi. Ecco
ve li immaginate genitori così che parlano di sesso con il figlio settenne?
Ammesso che ricordino ancora cos’è il sesso…dopo sette anni e nove mesi
dall’ultima volta.
Di contro ci sono gli eterni adolescenti, quelli che
non demordono neanche a cinquant’anni suonati. Non c’è distinzione sono uomini
e donne in ugual misura, sono mamme e papà anche quando non sembrerebbe il
caso. Sono quelli che ancora si ubriacano, che si fanno più canne di quando
avevano vent’anni, che non è venerdì se non si fanno due salti in discoteca,
che si separano perché si sono innamorati della segretaria e poi, si
riseparano, perché la segretaria vuole un figlio e loro hanno già dato. Sono
quelli che parlano delle loro pene d’amore a figli neanche svezzati. Sono
quelli che si inprofumano, si truccano (le mamme, almeno su questo, solo le
mamme) provano abiti , abitini, minigonne e tacchi 15 e chiedono consigli a
bambini sconcertati perché loro hanno bisogno della certezza di fare colpo sul
nuovo fidanzato.
Sono quelli che non dormono la notte perché lui/lei
non chiama, non ha mandato un messaggino e sono in ansia perchè dopo ventiquattro ore lui/lei, forse, già ha un’altra.
Sono genitori per cui il sesso non è un problema e non
vedono quale sia la difficoltà del figlio tredicenne, impacciato e brufoloso di
infrattarsi con la prima compagna che capita . Sono padri e madri per cui vali
se conquisti, se cucchi, se ti cercano e ti guardano. Vali se a scuola sei
popolare, se sei il più figo di tutti. Vali se già a dodici anni trasudi sesso
da tutti i pori. Se eiaculi nelle lenzuola di mammà tutte le sere e le dimostri
che già ti masturbi. Sono quelli che con la loro sola presenza ed i loro
discorsi stimolano sessualmente i figli più di un film di Rocco Siffredi
sparato in prima serata, ma inibiscono, al tempo stesso molto, molto di più del
Rocco nazionale. Sono quelli che : non sei mio figlio se a 14 anni non ne hai
castigate almeno 12, o che senza imbarazzi né filtri raccontano di continuo le proprie avventure
sessual-chic adolescenziali con lo stesso fervore con cui mio nonno mi
raccontava della guerra. Quanto è cambiato il modo di insegnare la virilità a
figli e nipoti. La guerra, le sofferenze, la fame, la prigionia, rendevano
sicuramente meglio l’idea di maschio e virilità e facevano meno danni.
Qualche giorno
fa un’amica avvocato mi raccontava che la maggior parte delle coppie scoppia a
causa di whatsApp e dei suoi messaggini. Vabbè a parte il fatto che la colpa
non è di whatsApp ma delle corna di chi
lo usa, l’amica in questione mi raccontava a proposito, che nella maggior parte
dei casi la bomba scoppia perché a trovare i messaggi sono i bambini.
Ovviamente per messaggi non si intende la lista della spesa ma le coccole che
papà fa a Tizia o a Caia e le foto sexy che mamma invia a Sempronio.
Ci ho provato, giuro che ci ho provato, ma io mia
madre che si increma e indossa intimo attizzante per girare una foto a qualcuno
che le piace e che magari ha 15 anni meno di lei non me la immagino , mi
sforzo, ma proprio non ci riesco. Anzi vi dirò di più dovessi trovarmi a
scegliere tra la mamma provocante a tutti i costi e la vegana….preferisco la
vegana. Perché io, a quarantasei anni suonati la mamma che si fa i selfie mezza
nuda nel bagno con le piastrelle a pois di sottofondo non la vorrei.
Non avevo detto che i genitori non parlano di sesso ai
figli? Sto dimostrando il contrario… questi genitori appena citati ne parlano
troppo. Ne parlano male. Parlano di sesso passando solo attraverso
comportamenti sessualizzati e seduzione. I bimbi così non sanno di cosa
parlano. Sentono ma non comprendono. Provano emozioni , sensazioni fisiche ma
non sanno come contestualizzarle. In campo sessuale secondo molti la teoria non
serve. Forse hanno ragione, nessuno di noi ha imparato a fare sesso o a fare
l’amore con uno schema o un disegno, la teoria non serve ma la pratica va
spiegata. Quando ci accingiamo a fare una torta non è necessario conoscere
tutto il processo di pastorizzazione del latte per la riuscita della torta, ma
quali e quanti ingredienti siano necessari dobbiamo saperlo. Ci conviene,
oltretutto. Ci conviene che i nostri figli sappiano quali sono le malattie a
sfondo sessuale, come si trasmettono, fino a che punto possono spingersi senza
necessità di usare precauzioni, quando invece sono necessarie. E’ fondamentale
che sappiano che il sesso non prevede alcuna forma di violenza e neppure di
sottomissione. E’ fondamentale che
sappiano che l’omosessualità non è una malattia e neanche una scelta, ma
un’inclinazione dell’essere umano come l’amore per l’arte o per il
giardinaggio. Che sappiano che non si dice frocio perché è offensivo e che le persone
che amano persone del loro stesso sesso si chiamano omosessuali. E’ importante
che si conosca il giusto nome per ogni cosa ma non è buona cosa indicare le
persone per le loro scelte sessuali. Sappiamo come si chiamano le cose ma sui
fatti che le riguardano siamo ignoranti.
Voglio dire: che ci interessa con chi
dorme il signor X o la signora Y ? Perché per indicare qualcuno dovrei dire:
Marco, il gay? Può bastare Marco, quello biondo, quello alto, quello che fa il
ragioniere…. La sessualità di Marco non può essere considerata un elemento
rilevante della sua personalità. Io, non
vedo bene da lontano. Porto occhiali da vista da quando avevo otto anni:
miopia. Nessuno direbbe mai per
indicarmi: Marinella, la miope. Tutt’al più quella che porta gli occhiali.
Possiamo insegnarlo ai bambini. Con naturalezza
Insomma, non riusciamo a parlare di sesso con i nostri
figli perché aprire il capitolo sesso è un problema per noi. Non ne parliamo
perché non sapremo cosa dire, cosa insegnare. Non ne parliamo, soprattutto noi
mamme perché , molto, troppo spesso, pensiamo a nostra volta di aver sbagliato
tutto, di non averci capito niente sessualmente parlando. A tale proposito, tra
le mie coetanee la frase riguardante il sesso che ricorre più spesso è: se
rinasco col cavolo che mi comporto bene, se ri nasco la do a tutti. Ecco perché
non sappiamo cosa dire, cosa insegnare, perché poi all’atto pratico dire a tua
figlia dodicenne: “mi raccomando a mamma dalla a tutti”, non ti viene. Lo
pensi, ma non ti viene. Eppure alcune lo fanno, senza ritegno e senza problemi.
Sono come quelle mamme che insistono perché la creatura scoordinata come un
polipo studi, suo malgrado, danza classica. Sono quelle, le stesse, che usano i
figli come proiezioni di se stesse. Loro, i bambini, devono arrivare dove i
genitori non sono riusciti: devono essere ballerine, calciatori, musicisti,
cantanti. Non sono figli comuni, sono figli del riscatto. Anche se per
riscattarsi devono praticare più letti contemporaneamente.
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