lunedì 30 maggio 2016

Noi e lo stress




Quando incontro qualcuno, anche casualmente, chiedo sempre: come stai? La risposta è uguale, sempre. " Sto stressata/o". Ora la domanda sorge spontanea, perché ?

Lo stress è un cambiamento di equilibrio nel normale quotidiano. Crea stress una malattia, un lutto, una separazione, un cambiamento di partner , un licenziamento, un cambiamento di lavoro, un trasloco. Possibile mai che nelle vite di tutti cambiano queste cose in continuazione? O forse usano il termine sbagliato? Forse, un po' tutti , ci sopravvalutiamo, riempiamo le nostre vite come una dispensa prima della guerra. Temiamo la solitudine e il silenzio e per questo colmiamo anche il più insignificante dei tempi morti. Facciamo cose anche mentre mangiamo o siamo in bagno. Iscriviamo i nostri figli e noi stessi a mille corsi. Vogliamo andare in palestra, al corso di teatro, a fare shopping, a trovare gli amici. Vogliamo giocare a burraco o forse a scacchi, gestire pagine Facebook, saper cucinare meglio di Cracco, avere una casa così perfetta da sembrare disabitata. Vogliamo avere più vita. Più ore. Poi, non le sappiamo gestire

domenica 29 maggio 2016

L'invadenza dei favori: un meccanismo perverso

Scusa, mi faresti un favore? Ti spiace farmi una cortesia? Ti secca occuparti di questa cosa? Ti va di accompagnarmi a casa?
Non mi piacciono i favori e tanto meno chi li chiede di continuo. Considero il favore un'invadenza, una sottrazione di spazio e tempo, un cambio di programmi non scelto. La scelta è la nostra salvezza. Dovessimo scegliere di farci del male, di sbagliare con cognizione di causa non soffriremmo un solo istante. Soffriamo, invece, ogni volta che qualcuno decide per noi e si intrufola nella nostra vita.
Quando ci chiedono un favore possiamo anche dire di no. Immaginavo ci fosse questa possibilità, ma non fa per me. Non che non ne sia capace. Se mi impegno posso diventare la regina delle scuse plausibili, ma non mi va di passare dalla parte del torto, la parte di chi "non ti ha aiutato, non ti ha voluto fare un favore". Mi dispiace ma non ci sto. Se mi costringi a dire di no mi metti in una posizione scomoda, in bilico tra impotenza e senso di colpa, in cui non voglio stare. Certo che non tutti i favori sono uguali. Esistono le emergenze su cui neanche si discute. Se devi correre in ospedale o da tua madre che sta male puoi chiamarmi anche alle tre di notte, se ti si ferma la macchina però chiami il carro attrezzi perchè sei grande e puoi farcela.  Per chiedere un favore ci vuole intimità e tanta confidenza. Gli abitudinari del favore vedono intimità dove non c'è, convinti di una sola cosa. Tanto che le cambia? Quelli che chiedono con disinvoltura, oltre che molto infantili, sono parassiti e dipendenti. C'è gente che sul favore imposta la sua vita: mi prendi i bambini a scuola?, Mi porti il bimbo a calcetto? Se vai a comprare le penne blu, ne prendi tre anche per mio figlio? Mi scrivi quella relazione? Mi paghi questa bolletta? Mi prenderesti il latte?
Arriva l'orticaria solo a pensarci. Quelli che chiedono favori sempre e a tutti, vogliono farvi credere di avere  una vita che neanche tre capi di stato insieme. Gli altri, secondo loro, passano le giornate a contare le nuvole. Essere considerata a disposizione è un ruolo che mi sta stretto. Essere disponibile mi piace molto. Non mi piace invece chiedere favori e non mi piace riceverne. Ci vedo una forma di controllo, di intrusione. Faccio da me e se ho bisogno chiedo ma a chi dico io. Per chiedere devo sapere che: non mi verrà rinfacciato e che la mia richiesta non verrà usata per farne altre dodici. Chiedere implica l'apertura di un cancello che nella mia vita è aperto a pochi. Preferirei non passare il resto dei miei giorni e del mio tempo ripagando i favori ricevuti. I favori non sono gratis, neanche l'amore lo è.
Fatto strano poi è l'incapacità di comprendere che chiedere favori significa mettersi in una condizione di debito e dare all'altro un potere che non ha chiesto e che non sempre sa gestire.
E' naturale che parlo di eccessi, l'una tantum mi fa piacere e, a proposito di potere, mi lusinga.
Il favore non si chiede. Chi è disponibile si offre. Lasciate che aiutarvi sia una scelta, non un'imposizione. Posso andare a prendere dieci bambini al campo di calcio... se decido io.

mercoledì 25 maggio 2016

Facebook, davvero un libro aperto

Per chi si occupa di menti e personalità come me Facebook è una mano santa. Un esercizio costante, utile più del migliore tra i manuali.. E’ davvero un libro aperto sulla personalità ed il carattere di ognuno. Non c’è bisogno di investigare basta saper osservare e ci trovi di tutto.
Il pudore e la vergogna, il vorrei-ma-non-posso ma anche la sfacciataggine più esasperata. Ci sono gli esibizionisti ed i voyeur, i timidi e i faccia tosta. Ci sono i vegani e i cannibali. Gli ammogliati felici e gli ammogliati ma-che-palle.
Ognuno da questa sorta di diario porta avanti la sua battaglia. E si perché la prima cosa che salta agli occhi sono le fisse individuali: io sono quella del “Basta compiti a casa” ma ci sono i religiosi, i letterati, gli amanti della cucina e quelli sempre a dieta che propongono ricette e i prodotti più in voga, ci sono quelli con la fissa delle tette grosse o dei piedi con lo smalto rosso. Ci sono i musicisti che, disperatamente, propagandano il loro sound preferito o l’artista del cuore. Ci sono gli sportivi e ancora di più i tifosi. Quelli che “Vesuvio lavali col fuoco” e quelli che “lo sport non è questo”. C’è chi fa propaganda politica e chi propaganda personale. Chi tenta di vendere qualsiasi tipo di oggetto o prodotto e chi, cerca di vendere se stesso: il suo talento, le sue idee. Ci sono quelli che pubblicano post in continuazione e quelli che come i topi di fogna, leggono e sanno  tutto di tutti ma restano muti e nascosti. Ci sono i docili, quelli che parlano solo di benessere e felicità e gli aggressivi i così detti “leoni da tastiera” quelli che dietro un pc riescono a scaricare tutte le frustrazioni possibili aggredendo chiunque, pure a casaccio, pur di affermare se stessi e le proprie opinioni.
E poi c’è la parte che amo di più: l’amore. Facebook nasce come esercizio di nostalgia. Cercare i vecchi compagni di scuola significa cercare i vecchi, i primi amori. Significa ritrovarsi, cambiati ma uguali. Mi piace e mi viene pure facile tentare di capire da foto e mezze frasi pubblicate chi sta con chi, a chi piace chi. Non è difficile: l’amore si vede sempre. Basta un like che non ti aspetti magari fra persone che se si incontrano fingono di non conoscersi. “Stranamente” sono spesso un uomo ed una donna. Te ne accorgi quando pubblicano canzoni d’amore struggenti contornate da cuori rossi: per un marito o una moglie, in genere, non si fa. Non così spesso. Mi piace quando a scrivere d’amore sono gli uomini. A voce non sono così capaci. Leggo spesso post di dichiarazioni d’amore bellissime che scritte così, su facebook, rese pubbliche a tutti gli amici, i parenti ed il condominio, valgono più di dieci diamanti.
Mi piace osservare le foto che cambiano magari a seconda dei vari momenti della vita. Foto che sottolineano un matrimonio, una festa, un dolore, una promozione, uno stato d’animo, un idea o l’appartenenza ad un gruppo.
Mi piacciono le foto di chi ci mette la faccia: bella o brutta non importa. Mi piacciono molto le foto spontanee ma devo essere onesta, quelle posate mi divertono di più: quelle tipo lei stesa sul divano o che guarda l’infinito e lui , viso spavaldo appoggiato sulla manina che sorregge il mento. Le foto con la mano sotto il mento ( moscia deve essere moscia) sono le mie preferite.

Mi piace osservare gli sguardi: seri e seriosi  o persi in una risata. Mi piace immaginare chi c’è dietro quello sguardo . Mi piace tentare di capire se ridono davvero o se, come accade più spesso, quelli che ridono di più sono in realtà i più tristi.

giovedì 19 maggio 2016

Donne, selfie e vanità



Sono mesi, forse anni, che mi interrogo sui selfie.
Sono antica. Ancora ferma all’idea della macchinetta fotografica che porti con te quando hai qualcosa di particolarmente bello da fotografare: quando vai in vacanza, ad esempio, o se c’è un compleanno. Un modo, il più semplice ed immediato, per bloccare i ricordi in un immagine. Per questo mi risultava davvero difficile comprendere le motivazioni che spingevano e spingono tante donne (soprattutto) ad autofotografarsi e a rendere pubblici e condividere questi scatti che, tutto al più, dovrebbero rimanere privatissimi..
L’ ho considerata per molto tempo una cosa parecchio ridicola e molto infantile.
Ho cercato di darmi spiegazioni e motivazioni, mentre, intanto, quella del selfie, diveniva una abitudine molto condivisa se non una vera e propria mania. Ho scomodato la psicologia e gli studi sul narcisismo e l’autostima senza mai trovare una risposta che fosse esauriente e soddisfacente per tutti i miei dubbi.
 Alla fine, come spesso accade, arriva inaspettatamente la folgorazione. La risposta è la più semplice in assoluto, senza bisogno di scomodare grandi menti: VANITA’.
Vanità e bisogno di piacere. Di essere approvati. I social in questo aiutano ed alimentano.
La vanità non è un peccato è un bisogno. Come mangiare e bere. Il bisogno di essere riconosciuti. Lo abbiamo tutti anche quelli che non si fanno autoscatti. Ognuno, a suo modo e con i mezzi che ha a disposizione, cerca di saziare il suo bisogno di approvazione. E non è un fatto fisico. Molte foto non ritraggono donne bellissime, ma donne che si piacciono e vogliono che questo piacere sia condiviso.

Il mondo non è cambiato per via della tecnologia, dei social e dei selfie. E’ cambiato il livello di consapevolezza della gente. Ed è cambiato il senso della vergogna e del pudore. Anni fa molte persone, molte donne, avrebbero avuto difficoltà ad ammettere il fatto che  amano piacere. Oggi la chirurgia estetica e i selfie stessi ci dicono che si tratta di un problema che non ha più nessuno. E fanno bene. Non c’è nulla di male a voler piacere, a voler essere ammirati. Non è cosa infantile è cosa umana. E la vanità non è un peccato ma un modo di vivere il piacere. E’ una presa di coscienza. Ma anche un atto di umiltà. Un’ammissione.

venerdì 13 maggio 2016

L'esperienza negativa non insegna ....

Non mi piace essere presa in giro, neanche dalla psicologia. È vero che dall'esperienza si impara, si aggiusta il tiro, si riconoscono i propri limiti. È vero anche che l'esperienza crea l'abitudine e l'abitudine libera dall'ansia . Non è vero però che le esperienze negative fortificano. Non è vero che migliorano. E non parlo dell'esperienza negativa del traffico o della fila alla posta o del brutto voto a scuola. Le vere esperienze negative sono quelle che tendono ad annullare autostima ed amor proprio, fiducia negli altri e nella vita. Sono le ingiustizie, i calci nel sedere, i tradimenti , le crudeltà del fato come i tumori, le malattie, i terremoti. Sono quelle esperienze che creano vinti e vincitori, carnefici e vittime. Sono pugni nel cuore a volte inutili. Non sono esperienze che possono insegnare. Anzi. Induriscono quanto più sono dure, fino a renderci asociali e crudeli. Chiudono, per paura o disillusione, fino a renderci esseri soli. Fino a renderci egoisti e cattivi. E sono molto più frequenti di quanto si immagini, frequenti e vicine. Rischiamo un effetto dinamo senza fine: aumentano le cattiverie subite, aumentano i cattivi.

giovedì 12 maggio 2016

Adesso è l’uomo che sogna il matrimonio



Sempre più maschi vogliono andare all’altare per paura di una dura vita da single. Lo annuncia uno studio Usa del Centers for Disease
E proprio vero: non ci sono più gli uomini di una volta, quelli che di fronte alla prospettiva dell’altare scappavano a gambe levate. Secondo uno studio Usa, infatti, ora è l'uomo a desiderare fiori d'arancio, confetti e riso, perché una vita da single proprio non la vuole fare. Il Centers for Disease Control and Prevention ha investigato un campione di 12 mila uomini e donne tra i 15 e i 44 anni, ponendo domande sulla vita sessuale, sulla convivenza, il matrimonio e il divorzio.

Dalla ricerca è emerso che il sesso forte, quando è lasciato solo, si sente proprio debole. Il 55 per cento degli uomini vuole un bimbo, contro il 46 per cento delle donne. Il 66 per cento dei maschi pensa che sia meglio essere coniugato che celibe confronto al 51 per cento delle signore. Michael Kimmel, sociologo alla State University di New York, annuncia che si sta definendo un modello maschile molto positivo, sganciata dalla cultura maschilista, tanto che il 76 per cento degli uomini antepone la famiglia alla carriera e vorrebbe trascorrere più tempo con moglie e figli.

mercoledì 11 maggio 2016

Segreti del cambio di stagione.....


È tra i compiti più pesanti. Spetta alle donne, alle mogli, alle mamme ed è ogni anno un incubo che, a volerlo fare per bene, impegna anche per una settimana. Una settimana di caos, lavatrici, scatoloni e maglioni stesi ovunque che, malgrado tutte le precauzioni del caso, un po' si deformano comunque. Sacchi di cappotti da mandare in tintoria e piumoni che seppure riesci a far entrare in lavatrice dopo non sai come stendere. Finisce che anche i piumini vanno in tintoria con una spesa finale che a saperlo prima ti rifacevi l'intera camera da letto!  Poi ci sono le scarpe. Tiri fuori i sandaletti e al loro posto dovresti far entrare stivali e calosce: un'impresa tecnico- geometrica che neanche Renzo Piano...
Alla fine di questa impresa apocalittica che, detto chiaramente , è un vero e proprio trasloco, dovresti essere felice e soddisfatta, invece già a metà dell'opera ti assale una strana malinconia, un senso di tristezza mista a frustrazione che non sai cos'è . Il cambio di stagione è segno del tempo che passa, dei figli che crescono, dei desideri non realizzati, delle aspettative deluse. È specchio di ricordi che non vuoi ricordare eppure ce n'è uno per ogni vestito.
Non proviamo fatica quando facciamo il cambio di stagione ma dolore. Per i desideri espressi esattamente un anno fa mentre riposavamo proprio queste cose: il prossimo anno questo vestito mi entrerà e sarò bellissima. Il prossimo anno farò delle vacanze pazzesche con tutti questi vestiti, spero che il prossimo anno ci sarà l'uomo giusto per me, quello che saprà apprezzarmi. E invece niente, un anno è passato e sei di nuovo lì a spostare vestiti che non andranno in vacanza e che nessun uomo apprezzerà . Perché spesso è così soprattutto per noi donne: le uniche promesse che non riusciamo a mantenere sono quelle che facciamo a noi stesse.

martedì 10 maggio 2016

5 INDIZI PER RICONOSCERE LA PERSONA GIUSTA...


E’ la persona giusta per te se…
1)     da quando frequenti questa persone sono aumentati il tuo entusiasmo e la tua energia vitale;
2)      il lavoro che spesso ti annoiava ti risulta leggero e semplice da svolgere;
3)     Ti prendi più spesso , e con maggior piacere cura, di te;
4)     La maggior parte dei tuoi amici ti trova più dolce, più tollerante, più simpatico,
5)     Il solo pensiero della persona amata ti riempie di gioia ed energia.

Null’altro. E’ semplicemente così l’amore. Rende tutto più semplice e migliore.

LE 5 REGOLE DELL’AMORE


1) Liberi insieme è il primo segreto dell’amore. Il riconoscimento dell’individualità e della personalità dell’altro sono l’espressione più alta dell’amore.
2) La gelosia è una pratica pericolosa: alimenta il desiderio di trasgredire. Troppo spesso , infatti, confondiamo le nostre paure con i nostri desideri più intimi e profondi.
3)L’amore non ha bisogno di tempo. Il tempo per conoscersi, il tempo per capire, il tempo per legarsi. L’amore quello vero nasce in un attimo e spesso dura un brivido.
4) Il più grande nemico dell’amore è il pensiero di averlo conquistato. L’amore non è mai per sempre. E non è mai troppo.
5) L’amore non è un sentimento è un’ azione. L’amore , quello vero, è fatto di scambi, gesti e azioni fatte per il beneficio dell’altro. Chi ama solo a parole non ama mai veramente.

Che ci sbattiamo a fare...

A proposito di festa della mamma... Pensavo al rapporto che ho con i miei figli, al tempo che passo con loro , a quello che impiego per loro. Pensavo che, spesso, l'impegno non è direttamente proporzionale alla loro felicità, che le aspettative sono diverse, spesso inconciliabili. Ai bambini non interessa se fai dieci chilometri per comprare le verdure dal contadino. Se spendi metà del tuo stipendio per gli alimenti biologici. Se lavori solo per pagare una buona scuola. Se ti spacchi in due per fare in modo che abbiamo sempre qualcosa di profumato e perfettamente stirato nell'armadio, se fai per loro il cambio di stagione che è la cosa che odi di più . Se stai attenta al fatto che si lavino per bene tutti i giorni e siano perfettamente in ordine e profumati. Ai bambini non importa se li porti a cena in un buon ristorante, e fai di tutto per farli vivere nell'ordine sistemando anche più volte al giorno i loro spazi. Ai bambini, tutto questo non serve. Amano il caos che per loro è libertà , possono mettere pantaloni invernali anche tutto l'anno che tanto manco se ne accorgono. Dipendesse da loro mangerebbero Mc donald per pranzo e cena e farebbero una doccia a settimana. Amano sporcarsi, camminare scalzi e sbrodolarsi quando mangiano. Ai bambini servono una palla, un giardino e tanti amici per essere felici. Tu, cara mamma, è inutile che ti sbatti.
Gli uomini passano ti restano i figli, dicevano le nonne. Ci credevo, con fatica.
Erano gli anni dell'adolescenza,  agli uomini ci credevo e l'amore era per sempre, se era amore. 
Poi peró diventi mamma e capisci che è vero il contrario: i figli vanno e almeno speri che, i mariti restino. 
Poi si separano le prime amiche e capisci che vanno sia i mariti che i figli, solo gli amici restano, quelli veri. 
Ho sempre pensato così. Poi ho smesso. Di colpo. La verità è che vanno tutti. Resti tu, solo. 
Però all'amicizia ci credevo. Prima, ci ho creduto fortemente.  Oggi non ci credo più. Senza fatica.  
Succede che ti svegli una mattina e tutto cambia. Basta un telefonino. Un caso, un errore o uno scherzo del destino. E tutto cambia.


La verità è che usiamo sempre parole sbagliate, troppe e troppo grandi. Finisce che siamo amici solo a parole, che amiamo solo a parole. Perché diciamo ti amo, ti amo da impazzire, ti amo da morire, e crediamo che basti. Ma non basta, non serve. A niente.
Un po' le invidio quelle che restano amiche: amiche degli ex , amiche delle amiche che le hanno tradite con gli ex. Le invidio ma non le capisco. Non so dire bene se è superficialità, bontà o masochismo. Bisogna essere davvero un po' masochisti per continuare a salutare (anche solo salutare) il tuo ex che esce con la tua (ex) migliore amica. ma forse l'amore quello vero è per i masochisti..
Perché infondo l'amore è cattivo, vive di assenze, si nutre di disamore, cresce con le distanze. Nessuno ama i genitori più degli orfani.

I compiti a casa...

Tratto da: " Ti ricordi il Marymount?"

Non me lo aspettavo, lo ammetto è stato come un colpo basso, un tradimento. Ho capito che alle elementari ci sarebbero stati i compiti a casa quando ormai eravamo al Kindergarten. Dopo tre anni spostarsi mi sembrava stupido eppure ai compiti ho fatto fatica a cedere. La mia convinzione partiva dall’esperienza personale. Per me chi frequenta una scuola privata fa i compiti a scuola. La scuola privata a differenza di quella pubblica cerca di andare più incontro alle esigenze dei genitori che lavorano. Anche io ho fatto le elementari in una scuola privata. All’epoca funzionava così: o uscivi da scuola alle 13,00, andavi a pranzo a casa e quindi facevi i compiti nel pomeriggio a casa o restavi a mangiare a scuola e dopo pranzo facevi i compiti. Chi usciva alle quattro aveva i compiti fatti e neanche portava lo zaino a casa. Ho dato per scontato che fosse così. Tornassi indietro chiederei prima. Mi informerei meglio. Comunque sia ormai è fatta . Ma è stata una tragedia. Come quando ti rompi un piede il primo giorno di vacanza o ti tiri la porta di casa proprio nell’attimo in cui ti salta in mente che le chiavi sono dentro. Un giorno parlando con il Preside gli ho detto che ho scelto di non fare il terzo figlio proprio in seguito alla scoperta “compiti a casa”. Ha riso, ma io non scherzavo. Il punto è che si tratta di una pratica necessaria per la scuola, assolutamente ingiusta per me. Su questo non andremo mai d’accordo. Un adulto lavora otto ore al giorno, proprio non riesco a capire perché ad un bambino bisogna chiedere di più. Non ho il coraggio di imporre ad i miei figli di sedersi a fare i compiti, dopo otto ore chiusi in classe, non ne ho il coraggio e credo che non sia giusto. Per loro, ma neanche per noi. Impensabile e difficile accettare il fatto che sia la scuola a dover decidere se e quando posso andare a fare una passeggiata in centro con i miei figli. Se posso andare dal dentista o a trovare i nonni. Spesso i compiti sono assegnati con qualche giorno di anticipo, spesso ma non sempre. Più frequentemente si va da un giorno all’altro e non sai mai, prima di aver controllato il diario, cosa ti capita. A tutto ciò bisogna tener conto degli impegni extrascolastici. Primo fra tutti il nuoto. I pediatri lo chiedono espressamente: non è solo uno sport, è come una medicina. Il nuoto è obbligatorio. Andare a fare nuoto due volte la settimana significa tornare a casa alle sette, e fare i compiti. Sfido un adulto! Comunque sia il nuoto non è quasi mai una scelta del bambino ma una imposizione del medico e di riflesso della madre. A questo punto mancano le attività pomeridiane ludiche scelte dal bambino in base alle sue passioni: in linea di massima tra i sei e gli otto anni si tratta di danza per le femminucce e calcetto o tennis o basket per i maschietti. Anche lì tra sport e doccia ci finisce alle sette. Dalla terza elementare poi si aggiunge un altro impegno pomeridiano imprescindibile: il catechismo. Anche qui non è una scelta, se sei cattolico lo devi fare. Ai miei tempi si faceva il catechismo la domenica mattina per un’ora, dopo la messa. Oggi questa cosa è cambiata, almeno qui a Roma: quasi in tutte le parrocchie, si fa catechismo il mercoledì pomeriggio dalle 17,00 alle 19,00.  Poi la domenica mattina a Messa. Va da se che in terza elementare, di mercoledì, i bambini stanno chiusi in un’aula a studiare dalle 8,20 del mattino alle 19,00 di sera. Poi arrivati a casa invece di giocare, guardare un cartone animato o fare un bagno caldo, devono fare i compiti. Come si chiama questa cosa? Ingiustizia, così si chiama o sopruso. Fate voi.
La prima elementare di Ginevra é stata un incubo, per i compiti. Tanti e tutti i giorni. Una paginetta, dicevano le maestre...una di inglese, una di matematica, una d’ italiano. Poi sono arrivati lo spelling ed il flauto con i brani da imparare a memoria. Troppo. Ad ogni lamentela mi veniva risposto che i bambini devono fare da soli. Ora se mia figlia a sei anni mi avesse detto, tornando da scuola alle cinque del pomeriggio, mamma non vedo l’ora di fare i compiti, avrei temuto di aver commesso qualche errore. In realtà a quell’età , come è normale che sia, la voglia di fare qualcosa di diverso dal gioco, non è minimamente contemplata. Tocca a noi mamme insistere, pregare, negoziare fino allo sfinimento. “Mamma sei cattiva!” me lo hanno detto tutti e due in risposta alla mia richiesta di mettersi a fare i compiti. Non è giusto. Soprattutto perché poi ad un certo punto del tardo pomeriggio in quasi tutte le case squilla il telefono ed è papà che dopo aver chiesto “cosa si mangia stasera?” chiede di salutare i bambini. “Finite i compiti che poi arriva papà e giochiamo”. Non è giusto, noi cattive e loro fighissimi compagni di gioco. Non è giusto. E ho le prove!
Sentite cosa dice lo psichiatra Paolo Crepet a proposito dei compiti a casa:
" Nessun operaio della Fiat si porta a casa un tergicristallo da finire: perché un ragazzo deve continuare da solo o con dilettanti (questi siamo noi genitori...ndr) un lavoro non finito a scuola?"
"Se il tempo con i figli è occupato dai compiti verrà sottratto all'attenzione/partecipazione e ad altri aspetti ugualmente importanti per la loro crescita: il gioco, il dialogo, la narrazione, le confidenze, lo star vicini ad ascoltarsi. Il tempo libero da trascorrere con i figli è un diritto.” 
Mentre scrivo queste pagine Floriana mi “gira” questa notizia.
Manhattan, scuola elementare abolisce compiti: fanno male. "Leggete e passate tempo con famiglia", dice la Preside.
Secondo la Preside Jane Hus “fanno più male che bene. Basta compiti per casa, senza, gli studenti sono incoraggiati a leggere libri e trascorrere tempo con la propria famiglia. Gli effetti negativi dei compiti a casa sono stati ben consolidati da studi, causano frustrazione, stanchezza, mancanza di tempo per altre attività, tempo per la famiglia e, purtroppo per molti, la perdita di interesse per l'apprendimento."

Ecco ho ragione io, fanno male... e la Preside in questione, ovviamente, è una donna...

Non è troppo presto

E’ troppo presto.
E’ quello che pensa  la maggior parte dei genitori quando si tratta di rispondere alle domande, anche  ingenue, poste dai bambini su temi che, anche alla larga, riportano alla parola sesso.
 Strano per una generazione di diplomati e laureati, di uomini e donne emancipati, liberi da sovrastrutture peccaminose e preconcetti. Strano non sentirsi in grado, non riuscire a trovare le parole, non sapere come trattare l’argomento. Strano, ma non più di tanto, se si pensa che la generazione acculturata di cui sopra vive da anni  anteponendo l’ansia all’azione. Abbiamo paura di fare e non facciamo. Dovessi descrivere l’era storica che attraversiamo, direi, senza ombra di dubbio, che è l’era dell’ansia. Con i bambini poi l’ansia dell’adulto raggiunge il culmine.
 Molti hanno paura. Non riescono, non spiegano, non parlano perché hanno paura. E’ così che, per paura, il problema viene evitato, rimandato, delegato ad un domani migliore con tre semplici parole: è troppo presto. Perché i figli sono sempre piccoli. Perché per molti parlare, insegnare, educare a volte significa mettere in testa ai bambini pensieri che non hanno.

In realtà non è mai troppo presto se i bambini chiedono. Non è troppo presto se la realtà che li circonda impone che abbiano determinate consapevolezze. Se la società in cui vivono impone loro, già in tenera età, la necessità di avere informazioni di base utili fin da subito a saper discernere il bene dal male, quello che si fa e quello che non si fa. Ma gli adulti evitano di parlarne   convinti che non parlare di certi argomenti li difenda dagli argomenti stessi.

Ma la paura non basta. Non basta aver paura che mio figlio cada per evitargli quelle tre o quattrocento cadute tipiche dell’ infanzia. E non è neanche lontanamente immaginabile vietargli di correre o camminare per evitare che cada. C’è un unico modo per risolvere il problema: evitare di evitare. Ed insegnare ai bambini a cadere.
Basta spiegare che le cadute fanno parte della corsa o della camminata. Basta dire che nella vita, e in tutti i sensi, qualche volta si inciampa. Basta dire che siamo caduti anche noi, e ne abbiamo riso. Quanto abbiamo riso dello nostre cadute?
Del sesso però non riusciamo a ridere e per questo non sappiamo parlarne, lo temiamo, ci fa paura.
Parlare di sesso non significa parlare di rapporti sessuali e penetrazione a bambini di tre o quattro anni. Parlare di sesso significa aiutarli a comprendere  le differenze e le complementareità tra maschi e femmine, significa aiutarli a costruire la propria identità sessuale ed il proprio ruolo sessuale in quanto bambini e bambine. Parlare di sesso significa insegnare loro il pudore e non la vergogna, il rispetto delle diversità e non la paura. Parlare di sesso significa aiutarli a non considerare il sesso un tabù ma, come è giusto che sia, un‘ espressione naturale di amore e piacere. Sembra semplice, eppure non lo è.

Non è semplice perché la parola sesso mette in discussione noi per primi. Non è semplice perché , evidentemente, su quel versante non siamo in pace con noi stessi.
Alcuni genitori sono troppo poco sessualizzati e altri fin troppo sessualizzati,  entrambi i casi rappresentano modelli inadeguati.
In molte coppie la sacralità della famiglia si basa solo ed esclusivamente sull’assenza di desiderio e quindi di sessualità. I genitori non sessualizzati sono quelli, per intenderci, che hanno appeso al chiodo la genitalità, quelli che a volte non capisci se sono uomini o donne, maschi o femmine. Quelli che iniziano a trascurarsi dopo la luna di miele, perché tanto si sono accasati e terminano il capolavoro quando restano incinti. Perché si, loro si amano così tanto che restano incinti in due. Sono quelli che mamma non si trucca perché è acqua e sapone e senza grilli per la testa e papà c’ha la panza perché è un uomo di sostanza.
Sono quelli che lo vedi da lontano che non fanno sesso da sempre perché se sei sveglio gli si legge in faccia. Non sono bigotti, non sono necessariamente ipereligiosi per cui si fa l’amore solo per procreare, sono apatici e disinteressati. Sono quelli per cui la coppia è una tappa e la famiglia è la tappa che viene dopo. Sono quelli lamentosi, quelli per cui in Italia non funziona nulla, quelli che fa sempre troppo freddo o troppo caldo e non c’è più la mezza stagione, quelli per cui la vita è sacrificio e siamo nati per soffrire. Quelli per cui mainagioia non è una battuta ma un modus vivendi. Ecco ve li immaginate genitori così che parlano di sesso con il figlio settenne? Ammesso che ricordino ancora cos’è il sesso…dopo sette anni e nove mesi dall’ultima volta.
Di contro ci sono gli eterni adolescenti, quelli che non demordono neanche a cinquant’anni suonati. Non c’è distinzione sono uomini e donne in ugual misura, sono mamme e papà anche quando non sembrerebbe il caso. Sono quelli che ancora si ubriacano, che si fanno più canne di quando avevano vent’anni, che non è venerdì se non si fanno due salti in discoteca, che si separano perché si sono innamorati della segretaria e poi, si riseparano, perché la segretaria vuole un figlio e loro hanno già dato. Sono quelli che parlano delle loro pene d’amore a figli neanche svezzati. Sono quelli che si inprofumano, si truccano (le mamme, almeno su questo, solo le mamme) provano abiti , abitini, minigonne e tacchi 15 e chiedono consigli a bambini sconcertati perché loro hanno bisogno della certezza di fare colpo sul nuovo fidanzato.
Sono quelli che non dormono la notte perché lui/lei non chiama, non ha mandato un messaggino e sono in ansia perchè  dopo ventiquattro ore lui/lei, forse,  già ha un’altra.
Sono genitori per cui il sesso non è un problema e non vedono quale sia la difficoltà del figlio tredicenne, impacciato e brufoloso di infrattarsi con la prima compagna che capita . Sono padri e madri per cui vali se conquisti, se cucchi, se ti cercano e ti guardano. Vali se a scuola sei popolare, se sei il più figo di tutti. Vali se già a dodici anni trasudi sesso da tutti i pori. Se eiaculi nelle lenzuola di mammà tutte le sere e le dimostri che già ti masturbi. Sono quelli che con la loro sola presenza ed i loro discorsi stimolano sessualmente i figli più di un film di Rocco Siffredi sparato in prima serata, ma inibiscono, al tempo stesso molto, molto di più del Rocco nazionale. Sono quelli che : non sei mio figlio se a 14 anni non ne hai castigate almeno 12, o che senza imbarazzi né filtri  raccontano di continuo le proprie avventure sessual-chic adolescenziali con lo stesso fervore con cui mio nonno mi raccontava della guerra. Quanto è cambiato il modo di insegnare la virilità a figli e nipoti. La guerra, le sofferenze, la fame, la prigionia, rendevano sicuramente meglio l’idea di maschio e virilità e facevano meno danni.
 Qualche giorno fa un’amica avvocato mi raccontava che la maggior parte delle coppie scoppia a causa di whatsApp e dei suoi messaggini. Vabbè a parte il fatto che la colpa non è di whatsApp ma delle corna  di chi lo usa, l’amica in questione mi raccontava a proposito, che nella maggior parte dei casi la bomba scoppia perché a trovare i messaggi sono i bambini. Ovviamente per messaggi non si intende la lista della spesa ma le coccole che papà fa a Tizia o a Caia e le foto sexy che mamma invia a Sempronio.
Ci ho provato, giuro che ci ho provato, ma io mia madre che si increma e indossa intimo attizzante per girare una foto a qualcuno che le piace e che magari ha 15 anni meno di lei non me la immagino , mi sforzo, ma proprio non ci riesco. Anzi vi dirò di più dovessi trovarmi a scegliere tra la mamma provocante a tutti i costi e la vegana….preferisco la vegana. Perché io, a quarantasei anni suonati la mamma che si fa i selfie mezza nuda nel bagno con le piastrelle a pois di sottofondo non la vorrei.
Non avevo detto che i genitori non parlano di sesso ai figli? Sto dimostrando il contrario… questi genitori appena citati ne parlano troppo. Ne parlano male. Parlano di sesso passando solo attraverso comportamenti sessualizzati e seduzione. I bimbi così non sanno di cosa parlano. Sentono ma non comprendono. Provano emozioni , sensazioni fisiche ma non sanno come contestualizzarle. In campo sessuale secondo molti la teoria non serve. Forse hanno ragione, nessuno di noi ha imparato a fare sesso o a fare l’amore con uno schema o un disegno, la teoria non serve ma la pratica va spiegata. Quando ci accingiamo a fare una torta non è necessario conoscere tutto il processo di pastorizzazione del latte per la riuscita della torta, ma quali e quanti ingredienti siano necessari dobbiamo saperlo. Ci conviene, oltretutto. Ci conviene che i nostri figli sappiano quali sono le malattie a sfondo sessuale, come si trasmettono, fino a che punto possono spingersi senza necessità di usare precauzioni, quando invece sono necessarie. E’ fondamentale che sappiano che il sesso non prevede alcuna forma di violenza e neppure di sottomissione.  E’ fondamentale che sappiano che l’omosessualità non è una malattia e neanche una scelta, ma un’inclinazione dell’essere umano come l’amore per l’arte o per il giardinaggio. Che sappiano che non si dice frocio perché è offensivo e che le persone che amano persone del loro stesso sesso si chiamano omosessuali. E’ importante che si conosca il giusto nome per ogni cosa ma non è buona cosa indicare le persone per le loro scelte sessuali. Sappiamo come si chiamano le cose ma sui fatti che le  riguardano siamo ignoranti. Voglio dire:  che ci interessa con chi dorme il signor X o la signora Y ? Perché per indicare qualcuno dovrei dire: Marco, il gay? Può bastare Marco, quello biondo, quello alto, quello che fa il ragioniere…. La sessualità di Marco non può essere considerata un elemento rilevante della sua personalità.  Io, non vedo bene da lontano. Porto occhiali da vista da quando avevo otto anni: miopia.  Nessuno direbbe mai per indicarmi: Marinella, la miope. Tutt’al più quella che porta gli occhiali. Possiamo insegnarlo ai bambini. Con naturalezza  

Insomma, non riusciamo a parlare di sesso con i nostri figli perché aprire il capitolo sesso è un problema per noi. Non ne parliamo perché non sapremo cosa dire, cosa insegnare. Non ne parliamo, soprattutto noi mamme perché , molto, troppo spesso, pensiamo a nostra volta di aver sbagliato tutto, di non averci capito niente sessualmente parlando. A tale proposito, tra le mie coetanee la frase riguardante il sesso che ricorre più spesso è: se rinasco col cavolo che mi comporto bene, se ri nasco la do a tutti. Ecco perché non sappiamo cosa dire, cosa insegnare, perché poi all’atto pratico dire a tua figlia dodicenne: “mi raccomando a mamma dalla a tutti”, non ti viene. Lo pensi, ma non ti viene. Eppure alcune lo fanno, senza ritegno e senza problemi. Sono come quelle mamme che insistono perché la creatura scoordinata come un polipo studi, suo malgrado, danza classica. Sono quelle, le stesse, che usano i figli come proiezioni di se stesse. Loro, i bambini, devono arrivare dove i genitori non sono riusciti: devono essere ballerine, calciatori, musicisti, cantanti. Non sono figli comuni, sono figli del riscatto. Anche se per riscattarsi devono praticare più letti contemporaneamente.