lunedì 11 luglio 2016

Cose della vita

In vita mia ho fatto molti errori.
Ho lasciato strade sicure, 
Ho percorso vie buie e sentieri incerti,
Ho amato gente sbagliata,
frequentato adulatori,ipocriti, approfittatori .
Ho chiuso porte nella speranza di
portoni che non si sono aperti mai.
Ho vissuto amori difficili,
amicizie a senso unico,
relazioni platoniche e fregature reali.
Ho tirato la corda che più forte non si può,
ho sfidato la vita, i sogni, il destino. 
Ho vissuto crisi, accarezzato brividi, perso scommesse.
Spesso ho sbagliato, pagato, pianto.

Questo ho fatto.
Di tutto il resto, mi pento.

giovedì 2 giugno 2016

Maestre e pagelle



Cara maestra, caro maestro, 
prima di chiudere il pezzo di carta su cui scriverai quella lista di numeri che giudicheranno mio figlio, so che ti ricorderai che lui non è un numero.
So che penserai che tra quei numeri c’è un pezzo della sua anima.
Controlla, prima di scrivere, se è un buon amico, un bambino buono e non solo un bravo alunno. Se è capace di ascoltare, di esserci per chi lo cerca, se si sforza per dare aiuto.
Giudica le sue capacità artistiche: il suo disordine, i suoi rumori, il suono delle sue risate. Giudica l'amore che è in grado di provare per gli altri, la capacità che ha di tollerare e aspettare. Giudica la sua pazienza, la sua prudenza  e il suo senso della giustizia.
Oltre che per la matematica, guarda se è portato per i sentimenti, se è in grado di dividere le fatiche con gli altri e di moltiplicare le gioie di tutti. Guarda le sue mani, sono sporche, la sua divisa è disordinata: si è divertito, ha giocato, ha dipinto, ha agito, ha manipolato e vissuto. Non ti ha mancato di rispetto.
Ricordati che è un bambino. A lui non piace stare fermo, seduto, in silenzio. Non è quella la sua natura. Ma lo fa, solo per te. Per non deluderti. Non deluderlo, maestra. Non giudicare le sue domande anche quelle più assurde: sono le sue paure. Non deriderlo per questo, le paure possono diventare sogni . Controlla i suoi errori: spesso sono solo idee diverse, le sue. So che giudicherai la sua capacità di risolvere problemi, quelli veri però. Al nonno di Pierino che compra le mele al mercato e poi gli cadono, non ci crede più da anni. Lui non è Pierino e, forse,  malgrado sia un bambino, ha problemi più grandi da risolvere, problemi di cui tu non sai perché non te ne parla per imbarazzo o forse solo per non darti un dispiacere. Troppo spesso i bambini hanno problemi più grandi dei grandi. Ma sono bambini e i problemi diventano capricci.  Cerca di capire che oltre quella degli Assiri e degli Egizi, c'è anche la sua storia. E che non sempre, anche se è un bambino, è una storia facile. Prima di chiudere quel pezzo di carta, prima di scrivere quel numero che dovrebbe rappresentarlo, so che penserai che in quella cifra c'è un anno della sua vita. Ci sono le ansie, le lotte per la sopravvivenza del gioco, la fatica di star seduto per otto ore, ci sono le grandi e piccole frustrazioni, le ore di sonno e di ozio perse. C’è una cameretta piena di colori e giochi mai vissuta e un ritmo di vita che di bambino non ha davvero nulla. Sai che in quel numero ci sono tutte le volte che si è sentito offeso, punito anche solo con uno sguardo, criticato e giudicato davanti ad una classe intera perché non ha finito i compiti, perché ha dimenticato il righello, perché ha sbagliato un verbo? Quando accade ai grandi si chiama mobbing, per i bambini come si chiama? Sono piccoli, ma hanno una dignità che neanche immagini e si offendono, come se si offendono, se li riprendi in pubblico. 
Non scrivere dieci, nove, otto se ritieni che sia arrogante, presuntuoso, cinico nel rapporto con gli altri. Non lodarlo se finisce bene un compito ma non aiuta un compagno. Non scrivere dieci se solo sospetti che dietro quel numero ci sia un piccolo uomo competitivo disposto a tutto pur di emergere. 
Prima di chiudere quel pezzo di carta,  attiva i tuoi ricordi. Cosa amavi da bambina, maestra? Quanto di te c'era in quei numeri? Quante volte ti sei sentita, magari poco genio ma tanto incompresa? Non emulare chi ha fatto soffrire te perché  in fondo, malgrado la severità dei tuoi vecchi insegnanti, "sei venuta su bene".
La severità non aiuta a crescere ma ad aver paura e a non sentirsi mai all’altezza. La comprensione, la passione, la gratificazione aiutano a crescere, a diventare uomini e donne risolti, a portare in giro, tra gli amici e la gente, tutto l’amore ricevuto.
No maestra, non siamo venuti su bene se ancora giudichiamo i bambini con dei numeri. Non siamo cresciuti bene, se ancora da adulti, anche  senza numeri, non facciamo altro che giudicare. I grandi, quelli veri, quelli che hanno dato tanto a questo mondo e a questo Paese, non sono mai stati giudicati con grandi numeri. Più spesso sono rimasti soli, mal giudicati, incompresi, mortificati, uccisi da un mondo che premia solo se sei competitivo, aggressivo, disonesto, cattivo.
La sensibilità e il rispetto non sono incapacità. La gioia di vivere e la capacità di sognare non sono distrazione.
L’assenza di competitività non è debolezza ma fratellanza.

Buone vacanze  maestra

Marinella Cozzolino, mamma di Ginevra e Victor.



lunedì 30 maggio 2016

Noi e lo stress




Quando incontro qualcuno, anche casualmente, chiedo sempre: come stai? La risposta è uguale, sempre. " Sto stressata/o". Ora la domanda sorge spontanea, perché ?

Lo stress è un cambiamento di equilibrio nel normale quotidiano. Crea stress una malattia, un lutto, una separazione, un cambiamento di partner , un licenziamento, un cambiamento di lavoro, un trasloco. Possibile mai che nelle vite di tutti cambiano queste cose in continuazione? O forse usano il termine sbagliato? Forse, un po' tutti , ci sopravvalutiamo, riempiamo le nostre vite come una dispensa prima della guerra. Temiamo la solitudine e il silenzio e per questo colmiamo anche il più insignificante dei tempi morti. Facciamo cose anche mentre mangiamo o siamo in bagno. Iscriviamo i nostri figli e noi stessi a mille corsi. Vogliamo andare in palestra, al corso di teatro, a fare shopping, a trovare gli amici. Vogliamo giocare a burraco o forse a scacchi, gestire pagine Facebook, saper cucinare meglio di Cracco, avere una casa così perfetta da sembrare disabitata. Vogliamo avere più vita. Più ore. Poi, non le sappiamo gestire

domenica 29 maggio 2016

L'invadenza dei favori: un meccanismo perverso

Scusa, mi faresti un favore? Ti spiace farmi una cortesia? Ti secca occuparti di questa cosa? Ti va di accompagnarmi a casa?
Non mi piacciono i favori e tanto meno chi li chiede di continuo. Considero il favore un'invadenza, una sottrazione di spazio e tempo, un cambio di programmi non scelto. La scelta è la nostra salvezza. Dovessimo scegliere di farci del male, di sbagliare con cognizione di causa non soffriremmo un solo istante. Soffriamo, invece, ogni volta che qualcuno decide per noi e si intrufola nella nostra vita.
Quando ci chiedono un favore possiamo anche dire di no. Immaginavo ci fosse questa possibilità, ma non fa per me. Non che non ne sia capace. Se mi impegno posso diventare la regina delle scuse plausibili, ma non mi va di passare dalla parte del torto, la parte di chi "non ti ha aiutato, non ti ha voluto fare un favore". Mi dispiace ma non ci sto. Se mi costringi a dire di no mi metti in una posizione scomoda, in bilico tra impotenza e senso di colpa, in cui non voglio stare. Certo che non tutti i favori sono uguali. Esistono le emergenze su cui neanche si discute. Se devi correre in ospedale o da tua madre che sta male puoi chiamarmi anche alle tre di notte, se ti si ferma la macchina però chiami il carro attrezzi perchè sei grande e puoi farcela.  Per chiedere un favore ci vuole intimità e tanta confidenza. Gli abitudinari del favore vedono intimità dove non c'è, convinti di una sola cosa. Tanto che le cambia? Quelli che chiedono con disinvoltura, oltre che molto infantili, sono parassiti e dipendenti. C'è gente che sul favore imposta la sua vita: mi prendi i bambini a scuola?, Mi porti il bimbo a calcetto? Se vai a comprare le penne blu, ne prendi tre anche per mio figlio? Mi scrivi quella relazione? Mi paghi questa bolletta? Mi prenderesti il latte?
Arriva l'orticaria solo a pensarci. Quelli che chiedono favori sempre e a tutti, vogliono farvi credere di avere  una vita che neanche tre capi di stato insieme. Gli altri, secondo loro, passano le giornate a contare le nuvole. Essere considerata a disposizione è un ruolo che mi sta stretto. Essere disponibile mi piace molto. Non mi piace invece chiedere favori e non mi piace riceverne. Ci vedo una forma di controllo, di intrusione. Faccio da me e se ho bisogno chiedo ma a chi dico io. Per chiedere devo sapere che: non mi verrà rinfacciato e che la mia richiesta non verrà usata per farne altre dodici. Chiedere implica l'apertura di un cancello che nella mia vita è aperto a pochi. Preferirei non passare il resto dei miei giorni e del mio tempo ripagando i favori ricevuti. I favori non sono gratis, neanche l'amore lo è.
Fatto strano poi è l'incapacità di comprendere che chiedere favori significa mettersi in una condizione di debito e dare all'altro un potere che non ha chiesto e che non sempre sa gestire.
E' naturale che parlo di eccessi, l'una tantum mi fa piacere e, a proposito di potere, mi lusinga.
Il favore non si chiede. Chi è disponibile si offre. Lasciate che aiutarvi sia una scelta, non un'imposizione. Posso andare a prendere dieci bambini al campo di calcio... se decido io.

mercoledì 25 maggio 2016

Facebook, davvero un libro aperto

Per chi si occupa di menti e personalità come me Facebook è una mano santa. Un esercizio costante, utile più del migliore tra i manuali.. E’ davvero un libro aperto sulla personalità ed il carattere di ognuno. Non c’è bisogno di investigare basta saper osservare e ci trovi di tutto.
Il pudore e la vergogna, il vorrei-ma-non-posso ma anche la sfacciataggine più esasperata. Ci sono gli esibizionisti ed i voyeur, i timidi e i faccia tosta. Ci sono i vegani e i cannibali. Gli ammogliati felici e gli ammogliati ma-che-palle.
Ognuno da questa sorta di diario porta avanti la sua battaglia. E si perché la prima cosa che salta agli occhi sono le fisse individuali: io sono quella del “Basta compiti a casa” ma ci sono i religiosi, i letterati, gli amanti della cucina e quelli sempre a dieta che propongono ricette e i prodotti più in voga, ci sono quelli con la fissa delle tette grosse o dei piedi con lo smalto rosso. Ci sono i musicisti che, disperatamente, propagandano il loro sound preferito o l’artista del cuore. Ci sono gli sportivi e ancora di più i tifosi. Quelli che “Vesuvio lavali col fuoco” e quelli che “lo sport non è questo”. C’è chi fa propaganda politica e chi propaganda personale. Chi tenta di vendere qualsiasi tipo di oggetto o prodotto e chi, cerca di vendere se stesso: il suo talento, le sue idee. Ci sono quelli che pubblicano post in continuazione e quelli che come i topi di fogna, leggono e sanno  tutto di tutti ma restano muti e nascosti. Ci sono i docili, quelli che parlano solo di benessere e felicità e gli aggressivi i così detti “leoni da tastiera” quelli che dietro un pc riescono a scaricare tutte le frustrazioni possibili aggredendo chiunque, pure a casaccio, pur di affermare se stessi e le proprie opinioni.
E poi c’è la parte che amo di più: l’amore. Facebook nasce come esercizio di nostalgia. Cercare i vecchi compagni di scuola significa cercare i vecchi, i primi amori. Significa ritrovarsi, cambiati ma uguali. Mi piace e mi viene pure facile tentare di capire da foto e mezze frasi pubblicate chi sta con chi, a chi piace chi. Non è difficile: l’amore si vede sempre. Basta un like che non ti aspetti magari fra persone che se si incontrano fingono di non conoscersi. “Stranamente” sono spesso un uomo ed una donna. Te ne accorgi quando pubblicano canzoni d’amore struggenti contornate da cuori rossi: per un marito o una moglie, in genere, non si fa. Non così spesso. Mi piace quando a scrivere d’amore sono gli uomini. A voce non sono così capaci. Leggo spesso post di dichiarazioni d’amore bellissime che scritte così, su facebook, rese pubbliche a tutti gli amici, i parenti ed il condominio, valgono più di dieci diamanti.
Mi piace osservare le foto che cambiano magari a seconda dei vari momenti della vita. Foto che sottolineano un matrimonio, una festa, un dolore, una promozione, uno stato d’animo, un idea o l’appartenenza ad un gruppo.
Mi piacciono le foto di chi ci mette la faccia: bella o brutta non importa. Mi piacciono molto le foto spontanee ma devo essere onesta, quelle posate mi divertono di più: quelle tipo lei stesa sul divano o che guarda l’infinito e lui , viso spavaldo appoggiato sulla manina che sorregge il mento. Le foto con la mano sotto il mento ( moscia deve essere moscia) sono le mie preferite.

Mi piace osservare gli sguardi: seri e seriosi  o persi in una risata. Mi piace immaginare chi c’è dietro quello sguardo . Mi piace tentare di capire se ridono davvero o se, come accade più spesso, quelli che ridono di più sono in realtà i più tristi.

giovedì 19 maggio 2016

Donne, selfie e vanità



Sono mesi, forse anni, che mi interrogo sui selfie.
Sono antica. Ancora ferma all’idea della macchinetta fotografica che porti con te quando hai qualcosa di particolarmente bello da fotografare: quando vai in vacanza, ad esempio, o se c’è un compleanno. Un modo, il più semplice ed immediato, per bloccare i ricordi in un immagine. Per questo mi risultava davvero difficile comprendere le motivazioni che spingevano e spingono tante donne (soprattutto) ad autofotografarsi e a rendere pubblici e condividere questi scatti che, tutto al più, dovrebbero rimanere privatissimi..
L’ ho considerata per molto tempo una cosa parecchio ridicola e molto infantile.
Ho cercato di darmi spiegazioni e motivazioni, mentre, intanto, quella del selfie, diveniva una abitudine molto condivisa se non una vera e propria mania. Ho scomodato la psicologia e gli studi sul narcisismo e l’autostima senza mai trovare una risposta che fosse esauriente e soddisfacente per tutti i miei dubbi.
 Alla fine, come spesso accade, arriva inaspettatamente la folgorazione. La risposta è la più semplice in assoluto, senza bisogno di scomodare grandi menti: VANITA’.
Vanità e bisogno di piacere. Di essere approvati. I social in questo aiutano ed alimentano.
La vanità non è un peccato è un bisogno. Come mangiare e bere. Il bisogno di essere riconosciuti. Lo abbiamo tutti anche quelli che non si fanno autoscatti. Ognuno, a suo modo e con i mezzi che ha a disposizione, cerca di saziare il suo bisogno di approvazione. E non è un fatto fisico. Molte foto non ritraggono donne bellissime, ma donne che si piacciono e vogliono che questo piacere sia condiviso.

Il mondo non è cambiato per via della tecnologia, dei social e dei selfie. E’ cambiato il livello di consapevolezza della gente. Ed è cambiato il senso della vergogna e del pudore. Anni fa molte persone, molte donne, avrebbero avuto difficoltà ad ammettere il fatto che  amano piacere. Oggi la chirurgia estetica e i selfie stessi ci dicono che si tratta di un problema che non ha più nessuno. E fanno bene. Non c’è nulla di male a voler piacere, a voler essere ammirati. Non è cosa infantile è cosa umana. E la vanità non è un peccato ma un modo di vivere il piacere. E’ una presa di coscienza. Ma anche un atto di umiltà. Un’ammissione.